Non è vero che san Vincenzo non è mai stato a Napoli, c’è stato, e camminava tutto contento per la città che che si spandeva nelle piazze grandi, antistanti il mare, o si restringeva nei budelli dei vicoli, così stretti che uno da una finestra all’altra si poteva passate un cuscino, o un paio di mele, o uno sguardo, o semplicemente una luce, sì, una luce! La luz, come diceva san Vincenzo Ferrer che era spagnolo…
Proprio in uno di quei vicoli stretti, Vicolo Buio, ci troviamo e qui, per far arrivare la luce, ai tempi di san Vincenzo, quando la luce elettrica non c’era ancora, a volte era necessario un articolato gioco di riflessi tra specchi, vetri o oggetti luccicanti. Vicolo Buio è pieno di vita, gli abitanti dei palazzi che si affacciano sul vicolo si conoscono tutti per nome, per comunicare da una casa all’altra basta chiamarsi (ma non è detto che non risponda qualcun altro). C’è il sarto Teodoro (che per lavorare ha sempre bisogno di luce), c’è la suora Gelmina dalle stanze del suo convento, il laboratorio del signor Eugenio e molto altri…
Tra le tanti voci, c’è anche quella di Celestino Minutolo, vetraio, che sta lavorando sull’impalcatura di un palazzo all’ultimo piano. A dire il vero, più che lavorare, la sua attenzione è tutta rivolta alle finestre della contessina Carlotta, a lei vorrebbe far arrivare (catturando il sole sul vetro e poi riflettendolo) un po’ di luce… ma, tra un tentativo (fallito) e l’altro di scorgere la sua amata, all’improvviso Celestino precipita dall’impalcatura, davanti allo stupore di tutto Vicolo Buio, soprattutto quando la caduta viene bloccata dal gesto di un monaco, San Vincenzo, un miracolo a metà, perché Celestino rimane sospeso.
A completare il miracolo deve pensarci sempre San Vincenzo, il “monacone”, ma nel frattempo tutto il resto di Vicolo Buio si attiva per rassicurare Celestino, per farlo bere, per provvedere a un tappeto di materassi e coperte nel caso qualcosa andasse storto e si ritrovasse a riprender la caduta. E la contessina Carlotta?
Vicolo buio è il teatro in cui va in scena Celestino sospeso (Piccola Casa Editrice) e al teatro fa pensare questa storia corale, con tutte le sue voci vive e in movimento.
Un’antica tradizione, ancora viva a Barcellona, racconta di come il papa Benedetto XIII avesse proibito a Ferrer i miracoli, per non scatenare il fanatismo nei fedeli, così quando vide un uomo cadere dal tetto di una casa, il religioso domenicano ordinò ad un angelo di tenere l’uomo sospeso per aria, prima di andare al proprio confessore per chiedere di poter portare a termine il miracolo.
Partendo da questo spunto, Vincenzo Gambardella porta il miracolo di san Vincenzo Ferrer a Napoli, la città dove il santo è chiamato ‘o Munacone e dove il suo culto è molto vivo, soprattutto nel popolare rione Sanità dove la Basilica di Santa Maria della Sanità è popolarmente conosciuta come San Vincenzo della Sanità e custodisce la statua del santo.