Televisione sì/ televisione no?
Quando questo dibattito pedagogico prese avvio, uno di quelli che si espresse a favore della tv fu Gianni Rodari, che in un’intervista disse: meno male che c’è almeno la televisione, visto che nessuno racconta più storie fantastiche ai bambini!
Rodari si preoccupava della scomparsa della narrazione fantastica nella relazione adulto bambino, e il mezzo televisivo sembrava offrire ad esso una concreta possibilità di sopravvivenza.
E quarant’anni dopo? Oggi il ruolo di sostituzione della televisione sembrerebbe riguardare la quasi totalità della vita del bambino, non solo la terra immaginaria del fantastico, ma anche il mondo ordinario della quotidianità. Una di queste sostituzioni dell’ordinario (una delle più riuscite e inquietanti), è Peppa Pig: un mondo di piccole azioni che i bambini conoscono, nelle quali si riconoscono, scandite da regole da seguire, facendo le cose come gli adulti dicono che devono essere fatte: competitività, produttività e un unico personaggio “libero” che però è anche il più screditato e maltrattato (il fratellino di Peppa, George).
Nel mondo di Peppa Pig non puoi rimanere indietro, non puoi essere “così” piccolo.
In un recente studio che spiega le ragioni narrative di questa serie inglese, Monia Andreani consiglia di non lasciare i bambini soli davanti a Peppa Pig; di essere con loro quando avranno domande da fare, di essere con loro quando avremo noi cose da dire.
L’assenza dell’adulto è protagonista implicito de Il libro tv, albo di Cristina Petit per Valentina Edizioni. Scrittrice e maestra di scuola elementare (suo il meraviglioso maestrapiccola, blog che racconta giorno dopo giorno la bellezza e la complessità del mondo dei bambini e della scuola, diventato anche libro), Cristina costruisce questa storia di storie televisive partendo proprio dal fantastico, passando attraverso la noia e il non senso della pubblicità, per arrivare alla crudeltà esibita della povertà e della guerra.
Davanti alla sequela di tessere narrative, il bambino spettatore cambia, la freccia delle informazioni muta direzione, non più dalla televisione al bambino, ma dal bambino alla televisione. Così, mano a mano che la voce infantile diventa interrogazione, il rumore della televisione si trasforma in una eco che somiglia a un silenzio tanto più irragionevole e lontano.
Ecco il bambino allora che prova a smontare la struttura, a cercare nel groviglio di fili qualcosa che sia in grado di fornire una risposta, ma tutto ciò che sta dentro alla televisione, in quanto televisione, non ha cuore.
In una lezione sul valore del libro come mediatore nella relazione educativa tenuta da Cristina all’Università di Bologna (ospite della prof.ssa Elena Malaguti, docente di Pedagogia Speciale), lezione alla quale ho avuto la fortuna di partecipare, punto di partenza è stato il miracolo della lettura, e approdo finale la capacità della lettura a voce alta di legare e rinsaldare la relazione tra adulti e bambini.
Cristina ha mostrato e dimostrato come accanto alla qualità del libro sia vitale il ruolo di mediazione della voce dell’adulto, della sua presenza: la lettura può diventare così una strada possibile per la soluzione dei conflitti nel gruppo classe, può agire nel riconoscimento e auto-riconoscimento che i bambini vivono attraverso le storie raccontate.
Nella lettura a voce alta la relazione si instaura, ha detto Cristina, e talvolta accade che un bambino possa cercare il contatto fisico: tu inizi la relazione, leggendo, il bambino da parte sua risponde così.
Troppo spesso lasciati soli davanti alla televisione, i bambini soffocano le domande che hanno dentro di sé, nascondono le paure, dissimulano le cose che non capiscono, ma ora uno di loro si è alzato dal divano, ha preso un cacciavite, ha smontato l’aggeggio, ha fatto tacere il rumore e ha mostrato quello che ogni adulto deve sapere: non esiste nessuna relazione possibile tra due soggetti e un cuore solo.