Lo speaker annunciò il salto e tutti con il naso all’insù. Sollevai Agnese da terra e la tenni tra le braccia in modo che potesse far capolino tra la folla. Uno dopo l’altro, i paracadutisti atterrarono con millimetrica precisione sul materasso posto al centro della piazza.
Agnese non aveva mai assistito a simili acrobazie. Una volta aveva visto un equilibrista attraversare quella stessa piazza su un filo d’acciaio ma nulla al confronto di un salto nel vuoto da oltre quattromila metri, proprio lì sopra la sua testa. Ne rimase entusiasta e, dopo avermi sorriso in segno di riconoscenza per lo spettacolo cui le avevo permesso di assistere, appoggiò il capo sulla mia spalla tenendo legato al polso un palloncino tricolore.
La banda attaccò a suonare l’inno nazionale. Accanto a noi, un anziano signore, impettito e sull’attenti, si commosse sino a lacrimare.
Era da un po’ che Agnese avvertiva quello strano formicolio sotto le scapole ma non se n’era curata più di tanto. La parabola tracciata dalle vele dei paracadutisti, però, sembrò accendere in lei ricordi ormai sbiaditi.
Al canto del solista, si unirono le voci dei tanti presenti, in un coro stonato ma solenne. Sulla sua schiena cominciò a spuntare un paio di ali. Piccoli spuntoni che le impedivano di alzare agevolmente le braccia. E quando lo faceva, era come se, per pochi secondi, fosse in grado di sollevarsi in aria.
Tutto avveniva senza che nessuno se ne accorgesse. A dire il vero, l’unica spettatrice attenta era Marta ma, vincolata alla riservatezza imposta dalla comune natura angelica seppur oltre l’età che ne segna il definitivo distacco, non tradì la sorella.
Agnese avvertì chiaramente una sensazione di perdita di consistenza corporea e, naturalmente, prese il volo. Sali in alto, il più possibile. Si trovò a giocare tra le nuvole. Non era la prima volta ma riprovare quell’ebbrezza le dava grande euforia. Trascorse un tempo indefinito. Ricevette precise istruzioni e cominciò a planare sulla piazza. Non era più sola. Era come se anch’essa fosse imbragata ad un paracadute. La sua vela, però, era quella di un tandem e scendeva verso terra in compagnia.
Come in ogni occasione ufficiale, l’inno terminò con un “si” deciso che svegliò Agnese. Tra l’applauso scrosciante della folla, sfilò la mano dall’asola che le stringeva il polso e il palloncino ripercorse a ritroso la distanza tra lei e le nuvole.
Approfittammo degli ultimi canti per precedere la folla e rientrare a casa. All’uscita della piazza, si era formato un capannello. Affrettammo il passo ma sentì che un medico, chiamato tra i presenti, sollecitava al telefono l’arrivo di un’autombulanza per soccorrere una donna che stava per diventare mamma.