Tutti voi, bambini, sapete, perché l’avete studiato sui vostri sussidiari e perché la maestra ve l’avrà spiegato tante volte, che la Mesopotamia è la “terra tra i due fiumi”, il Tigri e l’Eufrate, e che lungo le rive di questi due corsi d’acqua, a partire dal quarto millennio prima di Cristo, si sono succedute alcune delle civiltà più note del mondo antico, come i Sumeri, i Babilonesi, gli Assiri… Tantissimi i siti archeologici, presenti ancora oggi negli attuali Paesi del Vicino Oriente come l’Iraq, che ricordano lo splendore di quelle culture e tanti i reperti di valore che si possono trovare nei principali musei archeologici.
Il territorio, delimitato dai fiumi Tigri ed Eufrate, dove in passato fiorirono le più grandi civiltà del Medio Oriente.
Uno di questi musei, quello di Baghdad, è stato riaperto qualche settimana fa, il 28 febbraio, dopo 12 anni di chiusura. Nel 2003, quando voi non c’eravate ancora, ci fu una guerra, una delle tante che continuano ad esplodere e a spargere sangue nel mondo, e nel corso dei saccheggi alcuni uomini senza scrupoli si intrufolarono nelle sale del museo e devastarono ogni cosa: sfondarono le teche, rovesciarono statue, distrussero le ceramiche, rubarono migliaia di oggetti per poi rivenderli ai trafficanti di reperti antichi.
Durante la cerimonia di riapertura, il primo ministro iracheno ha detto con grande soddisfazione: “Per la prima volta un’intera generazione di iracheni saprà cos’è il proprio museo nazionale, bambini e famiglie lo potranno visitare, vedere e toccare i manufatti“.
Il Museo Archeologico di Baghdad in Iraq.
Aprire musei è un po’ come piantare ulivi o costruire biblioteche: vuol dire gettare semi destinati a germogliare nel futuro e soprattutto offrire ad un popolo luoghi in cui potranno sempre capire qualcosa in più su se stessi e sentirsi parte di una storia più grande che li accomuna nonostante le differenze.
Qualche giorno prima della riapertura del museo di Baghdad, in un altro museo iracheno, quello di Mosul, uomini armati di asce e martelli, mossi da una inspiegabile follia, avevano distrutto statue, manufatti, sculture… tutto questo mentre qualcuno riprendeva con la telecamera le scene di devastazione per poi diffonderle in tutto il mondo via web.
Spezzone del video che mostra la distruzione delle statue nel Museo di Mosul ad opera degli uomini dell’Isis.
Molte delle statue frantumate erano copie in gesso di originali, quindi per fortuna potranno essere ricostruite, in altri casi si tratta di esemplari persi irrimediabilmente: come i famosi lamassu, colossali statue in pietra chiamate “tori alati”, che nell’impero assiro venivano poste all’ingresso dei palazzi perché considerate spiriti protettivi e benefici.
Spezzone del video che mostra la distruzione delle statue nel Museo di Mosul ad opera degli uomini dell’Isis.
Sempre a Mosul, quella che un tempo era Ninive, la capitale dell’impero assiro, quegli stessi uomini avevano già incendiato la Biblioteca Pubblica, dove erano conservati libri rari e manoscritti, e riversato la loro ferocia disumana su altre opere d’arte e monumenti simbolo della cultura e della storia plurimillenaria di quelle terre.
In tv e sui giornali si è parlato anche di altri siti archeologici ridotti in macerie, come Nimrud, antica città assira situata lungo le sponde del Tigri, e di Hatra, città fondata nel terzo secolo avanti Cristo, oggi dichiarata Patrimonio dell’Umanità per la ricchezza e unicità dei suoi resti, e solo in parte riportata alla luce dagli archeologi. La distruzione di questi due siti, per fortuna, non è stata confermata e non si hanno notizie certe a tal proposito.
Il sito archeologico di Hatra a Sud di Mosul.
Chi sono questi uomini, questi soldati del male o nemici della storia, come mi verrebbe da chiamarli? Sono jihadisti o uomini dell’Isis, come forse avrete sentito in televisione. Ma al di là delle definizioni e delle etichette, che poco ci interessano, vi basti sapere che sono uomini di religione islamica che credono che sia stato lo stesso profeta Maometto ad ordinare loro di distruggere le statue, perché si tratta di idoli venerati dai popoli antichi prima dell’avvento di Allah, il loro dio. Per farvi capire meglio: è come se alcuni uomini di religione cristiana un bel giorno decidessero di distruggere tutto quello che c’è nei musei archeologici italiani perché gliel’ha ordinato Cristo in nome di Dio e perché molte di quelle opere si riferiscono ad un’epoca precedente la diffusione del cristianesimo, quando gli dei e le religioni erano tanti e diversi tra loro.
Non c’è nulla di vero e sensato in quello che questi soldati islamisti dicono: nessun Dio potrebbe mai permettere uno scempio come quello commesso a Mosul o in qualsiasi altro posto del mondo. La parola DIO è una parola grande e rotonda che vuol dire eternità, bellezza, perfezione, armonia, amore… tutto il contrario di violenza, distruzione, odio, guerra. Come potrebbe mai un Dio desiderare che opere d’arte e monumenti straordinari, che fanno parte del DNA del mondo e ci ricordano la grandezza e la cultura delle civiltà del passato, possano essere distrutti per sempre?
La verità, molto più amara e terribile, è un’altra: questi uomini odiano tutti coloro che sono diversi da se stessi, che hanno idee, valori, progetti, religione differenti dai propri. E poiché sono incapaci di considerare queste differenze come una ricchezza e una grande opportunità per lo sviluppo del mondo intero e dunque accettarle, preferiscono annullarle e colpire tutto ciò che (monumenti e vite umane) è simbolo di diversità.
Frantumare una statua o incendiare manoscritti vuol dire sradicare le radici di un popolo, cancellare il suo passato perché considerato inutile e di nessun valore, privare bambini e famiglie della possibilità di scoprire attraverso gli oggetti di un museo o i libri di una biblioteca o le rovine di un sito archeologico la propria storia e ad essa sentirsi indissolubilmente legato. Quelle pietre, vecchie di millenni, parlano ancora e ci raccontano di popoli che hanno saputo, attraverso l’arte, realizzare qualcosa di straordinariamente bello ed eterno e per questo quasi divino. Ed è l’eternità e l’umanità che quelle pietre trasmettono che spaventano: di fronte a così tanta perfezione ci si sente piccoli e quasi insignificanti, granelli di sabbia di un deserto enorme che è la storia del mondo.
A questa sensazione si reagisce in due modi: o con orgoglio, perché ci si sente parte di un tutto che va protetto, rispettato e ancora esplorato – cosa che fanno appunto gli archeologi ad esempio -, oppure con la violenza che nasce dalla paura, quello che stanno appunto facendo i soldati dell’Islam.
Dietro ogni violenza, di qualsiasi tipo essa sia, c’è sempre una grande debolezza e l’incapacità di accettarla. In questo caso non si riesce forse ad accettare che statue e oggetti possano ancora oggi ricordare a tutti un passato glorioso che si disprezza perché non si comprende.
Cosa possiamo fare noi? Ben poco. C’è da sperare che chi ha potere e autorità possa in qualche modo fermare questa violenza e impedire nuove distruzioni. E che chi è folle si ravveda, perché questa follia non lo condurrà da nessuna parte, né lo renderà migliore.
Ma c’è una cosa che tutti noi possiamo continuare a fare: riempire i musei, affollare le aree archeologiche, confrontarci con quelle ‘pietre morte’ e ascoltare cos’hanno da dirci, percepirne l’eccezionalità e sentirci noi stessi parte di un’umanità straordinaria che ha saputo produrre simili opere.
Bambini in gita scolastica ai siti archeologici di Kerkouane e Cartagine il 27 e 28 marzo, pochi giorni dopo la strage terroristica al Museo del Bardo di Tunisi (fonte: Archeomedsites).
Reagire alla violenza con il coraggio delle scelte, la lucidità delle idee, la forza della cultura, l’apparente semplicità dei gesti.
Malala Yousafzai, una ragazzina pakistana che ha vinto il Premio Nobel per la Pace e che si batte per l’istruzione delle donne nel suo Paese, ha detto questo parole bellissime quando ha ricevuto il premio: “Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo”.
Ricordatevelo bambini. Sempre.
Giovanna Baldasarre