Ho avuto la fortuna di abitare dentro una stanza piena di libri (Erri de Luca)
Siamo in tempi di Masterpiece! Stai a vedere che da domani il mio pubblico distratto di tredicenni scoprirà che è bello prendere carta e penna (sì, fa tanto cool scrivere anche con la penna su un taccuino) e che scrivere (scrivere, intendo, almeno una pagina di azioni e pensieri di senso compiuto) è figo. Stai a vedere che la TV compie l'ennesimo miracolo ignoto alla scuola. Scrivere: sogni di gloria antichi come i Greci, antichi come il primo uomo che ha sentito addosso l'horror vacui. Adesso anche Jenny, scotendo i capelli messi in piega, mi dirà: «Non voglio più andare a X Factor, meglio Masterpiece».
Oggi che anche la scrittura diventa bella immagine e gara, io vorrei invece raccontarvi un'altra storia: la storia che viene prima di Masterpiece. Vorrei raccontarvi di come erano da bambini i futuri scrittori.
Vorrei che voi ragazzi riusciste a scoprire la cultura da dentro e quando e come si forma la vocazione a sapere, prima che a scrivere.
Alle origini della vocazione alla cultura ci sono spesso, non sempre, genitori attenti, appassionati, non menzogneri. Talvolta, quasi mai spesso, c'è anche un Maestro. Poi ci siete voi e tra voi ragazzi qualcuno più schivo, nascosto sotto il peso della sua sensibilità, rosicchiato dall'ansia, singolarmente attratto dalla conoscenza delle parole, dal loro senso arcano, dalla bellezza dell'arte, dal bisogno di imitare la voce scritta di altri per poi trovare la propria.
Ladra di cultura
Alda Merini ebbe nel padre il primo maestro, che innaffiò come un giardiniere amorevole l'ambizione della figlia verso il sapere: a cinque anni le regalò un dizionario. A otto Alda studiava lunghe ore al giorno e divenne una «ladra di cultura»: leggeva e sognava l'Inferno, suggestionata dalla Commedia illustrata da Doré: «mi angosciavano quelle figure nude eternamente castigate, eternamente piene di freddo e di solitudine». Quando, in tempo di guerra, nacque il fratello e troppe furono le bocche da sfamare, fu privata della scuola e restò affamata.
Tipo schivo
Difficile essere timidi a Napoli, lo sa bene il piccolo Erri de Luca, con la vocazione del lettore e il destino della scrittura: elegge come stanza di clausura quattro pareti tappezzate di frasi, la stanza dei libri di papà e lì fa esperienza della vita e dell'uomo, si affeziona e cresce con la miglior compagnia possibile: il suo destino è in una stanza. Non c'è bisogno di provare tutto sulla pelle, ragazzi, per conoscere: «i romanzi danno, specialmente a un ragazzino, questa vertigine di conoscere gli adulti da dentro. I libri ti raccontano come sono fatte le persone».
Piccole Donne
E se questi nomi vi sembrano resti del secolo passato, ascoltate cos'ha da dirvi la scrittrice Chiara Gamberale, classe 1977: la ragazzina Chiara è ansiosa e contorta ma ascoltare storie la calma. Piccole Donne è il suo cult: racconta anche il dolore come sapevano fare i romanzi per l'infanzia tutti lacrime e che insegnavano sin da bambini che del dolore, nella vita, si deve tener conto. Chiara inizia il gioco della scrittura imitando Jo e poi passa quasi per caso a Proust e si spaventa: «capii che la letteratura poteva dire anche altro. Crescendo, trovai libri adatti al mio percorso, fui fulminata da Dostoevskj, amai l'Odissea. E trovai una guida: un'insegnante che aveva capito cosa cercavo e me lo offriva prima che glielo chiedessi».
Prima di Masterpiece, ragazzi, c'è un Libro che ti scuote. Anche nella nuova cultura.
La vostra Prof, Favella Stanca