Signore e signori, qui si parla di università.
In particolare, prendo spunto come sempre dalle mie esperienze personali e dalle letture: questa volta c'è proprio un aggiornamento speciale che riservo a voi heykiddiani.
Nemmeno due mesi dopo l'inizio del semestre, ho deciso che cambierò corso di studi (o, se vogliamo dirla alla vecchia maniera, facoltà). E il motivo è semplicissimo: ho capito che quello che sto facendo non è la mia strada, non mi avrebbe portata da nessuna parte. Per capire di aver sbagliato, molto spesso bisogna sbattere la propria cocciuta capoccia contro gli errori, così com'è successo a me – e ora, dall'alto della mia dolorosa ma necessaria esperienza, posso dirvi tutto quello che graziosamente sto per rivelarvi.
Ecco, prendete questo passaggio:
Dio e la Natura ti hanno destinata ad essere la moglie di un missionario. Non ti hanno dato doti personali, ma mentali: sei fatta per il lavoro, non per l'amore. Tu devi – lo sarai – diventare la moglie di un missionario. Sarai mia: ti reclamo – non per il mio piacere, ma per servire il mio Signore. (Charlotte Bronte, Jane Eyre)
Come i miei lettori più fedeli sapranno (mi commuovo all'idea di avere "lettori fedeli"), Jane Eyre è praticamente la mia Bibbia personale, uno dei romanzi che più mi hanno colpita dalla tenera età di 15 anni. E proprio in un episodio di questo capolavoro ho, come accade spesso, ritrovato parallelismi con quello che succede attorno a me.
Nel passaggio sopraccitato, infatti, assistiamo ad una dichiarazione del pastore protestante Saint John Rivers, che in poche parole vuole decidere cosa sia meglio non solo per lui, ma anche per la nostra cara Jane Eyre, e lo fa evidentemente in tutta buona fede. Peccato che in realtà le inclinazioni di Jane siano tutt'altre.
La stessa cosa succede spesso in altre circostanze, ma con simili premesse e conseguenze: certo, non si parla sempre di matrimonio, anzi in questo caso c'è in ballo il futuro dei propri studi, della professione, del modo in cui si spenderanno i prossimi anni di vita. La famiglia, i pregiudizi, la situazione economica di partenza, le conoscenze e le questioni sociali creano una pressione non indifferente sulle spalle di molti giovani e, di conseguenza, sulle scelte inevitabili che sono tenuti a fare.
In tutto questo, vi regalo qui una chicca di cui spero farete tesoro – io ho imparato una bella lezione, sia per l'esperienza che sto vivendo, sia per gli insegnamenti guatagnati con le mie letture – e cioè:
1. se state leggendo in qualità di alunni: fregatevene. In questo caso bisogna fare come la Jane citata qui sopra (ah, se non avete letto il romanzo, cosa aspettate?), ovvero seguire la voce che bisbiglia dentro di noi, o come direbbe qualcuno, "il proprio cuore". In esclusiva per voi, c'è una notizia dell'ultimo minuto: la vita è una sola, e la giovane età è ancora più preziosa. Non sprecate entrambe le cose a causa di influenze esterne (sia in buona sia in cattiva fede) per poi svegliarvi una mattina a 45 anni e rendervi conto che vi siete resi infelici da soli. Le difficoltà del momento, purtroppo, si stanno vivendo in ogni settore, quindi perché buttare via i propri talenti e le inclinazioni, andando avanti combattendo contro se stessi?
2. se state leggendo in qualità di genitori heykiddici: io vi conosco. Lo so come la pensate, in linea di massima. Lo so che volete una marea di bene ai vostri figli, inoltre se siete su questo sito significa che li state iniziando al magico mondo della letteratura, quindi avete anche dei punti bonus. Ma ascoltate le parole di una ragazzina che potrebbe essere, anche lei, un po' vostra figlia. Lasciate che i vostri ometti e le vostre donzelle capiscano da soli la loro strada. Aiutateli, ovviamente, se lo richiedono, ma senza prendere due grosse tenaglie per strappar loro le ali. Sempre per restare in metafora "volatili", siate le aquile che controllano il territorio dall'alto, in modo da avere una visuale completa e distaccata, non gli avvoltoi inquietanti che incombono sulle spalle dei figli aspettando il momento buono per prendere l'iniziativa e dirigere l'azione. Indirizzateli semplicemente per una strada che loro poi dovranno valutare se seguire o no. Anche se pensate di fare il loro bene, come Saint John Rivers. Anche se avete dalla vostra il potere dell'esperienza. Ricordate sempre le parole di Kahil Gibran, con cui spero di commuovervi a dovere:
I tuoi figli non sono figli tuoi,
sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee,
perché essi hanno le loro proprie idee.
Tu puoi dare loro dimora al loro corpo, non alla loro anima,
perché la loro anima abita nella casa dell'avvenire,
dove a te non è dato entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro,
ma non volere che essi somiglino a te,
perché la vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l'arco che lancia i figli verso il domani.