A Trieste, la città del vento, in cima ad una collina sopra la città vecchia, c’è un ospedale che è diverso dagli altri. Il San Giovanni non ospita, infatti, malati che hanno male al corpo, ma all’anima. I suonati, i picchiati, gli svitati come li chiamano. I matti. Perché la bora, che muove le persone come marionette, rovescia i ciclisti, strappa i cavi dell’elettricità, stacca le tegole dai tetti, può anche rendere pazzi.
Questi malati sono diversi dagli altri: gridano troppo forte o non parlano per troppo tempo, ruotano su se stessi come trottole impazzite o restano immobili come statue, parlano agli alberi e agli animali o afferrano gli uccelli per strangolarli, non sanno come ci si comporta a tavola e per strada, hanno idee e paure terribili. Forse è per questo che li hanno rinchiusi tutti in un ospedale che è grande come un villaggio, con una piazza, una chiesa, un teatro… ma che ha le finestre sbarrate da grate e le porte chiuse a chiave, sicché si rimane bloccati al suo interno come in una prigione.
Al San Giovanni ci vive anche Paolo, l’unico ragazzo. Suo nonno Giuseppe dice che i matti non sanno chi sono. Ma Paolo non è d’accordo, lui sa chi è: è figlio di Lucia, la lavandaia dell’ospedale e di Marcello, il pescatore. Non ha amici perché a scuola lo evitano, come se la pazzia fosse una malattia contagiosa. Gli unici due suoi amici sono Ernesto Saba, il futuro poeta, e Marco, il cavallo che trasporta i fagotti di biancheria dell’ospedale e i sacchi dell’immondizia e che presto verrà sostituito da un furgoncino bianco.
Un giorno all’ospedale San Giovanni succede qualcosa. Come la bora che soffia furiosa e getta scompiglio per le strade e tra la gente, arriva un medico, Franco Basaglia, che è diverso dagli altri e che persino i matti, che pure vedono e sentono cose come nessun’altro, non riescono dapprima a capire fino in fondo. Questo medico vuole curare il mal d’anima non con i medicinali né con l’elettrochoc, ma con la libertà. Basaglia vuole aprire le porte dell’ospedale, demolire i muri, far uscire i matti e farli incontrare con gli altri, i cosiddetti “normali”, liberare la diversità e far capire a tutti che essa non costituisce un pericolo, semmai una ricchezza.
La libertà può guarire e ridare speranza, agli uomini come agli animali. Persino Marco, il cavallo di Paolo, è stato guarito da Basaglia. Grazie al medico, arrivato da chissà dove, Marco non è stato mandato via, ma è rimasto al San Giovanni tra i matti che ora ridono e che lo considerano un simbolo. Paolo non sa bene cosa significhi la parola “simbolo”. Lo chiederà ad Ernesto, il suo amico, il poeta. Lui sì che è bravo con le parole e le capisce. Per ora gli basta sapere che non dovrà separarsi dal suo cavallo e che ad uno vero, in carne e ossa, se ne è aggiunto un altro, in cartapesta, costruito dai matti ‘liberati’ nei laboratori dell’ospedale.
Una domenica il grande Cavallo Blu viene portato fuori dall’edificio, si distrugge persino una porta per farlo passare. Un corteo gioioso di matti, l’uomo dal cappello di neve, l’uomo-albero e tutti gli altri, lo segue per le strade della città, Trieste prima e poi tutte le altre città d’Europa, in ogni posto si creda che la libertà possa guarire chi ha male all’anima.
«Se i matti fossero trasparenti, dentro di loro si potrebbe vedere una sola idea. Unica. Immensa. Un’idea che invade tutto, come quegli alberi vicino ai quali non cresce nulla. Un’idea fissa come una prigione dove il matto è rinchiuso. Come una spina piantata nel cuore e che nulla può strappare, neppure la più grossa delle tenaglie».
Il medico della libertà, Basaglia, è riuscito non solo a tirar fuori quest’idea dalla prigione e restituirla alla vita, ma l’ha portata addirittura in giro per le strade d’Europa, dentro il grande Cavallo Blu.
Ci sono libri che sono un regalo per chi li legge. Dopo averlo fatto si è infinitamente grati a chi li ha scritti e illustrati. Quelle parole e quei disegni sono serviti a costruire un altro, unico e imprescindibile pezzetto della propria libertà.
“Il grande cavallo blu” di Iréne Cohen-Janca (Orecchio Acerbo Editore) è uno di questi. Le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello, potenti e delicate come il desiderio di cielo di chi vive rinchiuso in una prigione, sono poesia per gli occhi.
Il resto provate a cercarlo voi stessi.