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Scrittori e maestri (di qualche tempo fa)

Avete mai pensato di avere un prof scrittore? Ma a non tutti gli scrittori maestri insegnare piace...
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A Sciascia non piaceva insegnare.

Per natura guarda la realtà senza rivestirla: non si fa scrupolo a dire che il materiale umano che gli è capitato è scoraggiante. Non per colpa dei ragazzi: eravamo poveri. Era appena finita la guerra. Lo studio? Ci sembrava inutile. Poveri, in verità, lo siamo ancora e in tante aule il maestro scende oggi con l’animo di Sciascia allora: uno zolfataro nei cunicoli della terra.

Eppure, quando ricorda i suoi primi giorni nella scuola elementare di Recalmuto, in Sicilia, Sciascia usa una parola che scolpisce il cuore come un grimaldello d’umiltà: «Non è senza timore che inizio la mia opera di insegnante». Opera. Lavoro. Lavoro operaio. Lavoro di artigiano. Lavoraccio. Opera d’arte.

Servizio.

Niente di più. Tutto.

C’è anche Ada, nel novero delle maestre per caso: Ada Negri è diventata maestra per non essere operaia come la madre. Si sa che scrivere versi se non sei ricco non ti dà da mangiare e invece la scuola almeno è (era) un lavoro sicuro, in attesa di stringere l’alloro dei poeti.

I suoi mocciosi le urlavano intorno brutti, sporchi e puzzolenti. E nel suo cuore delicato di poetessa non muovevano alcuna estasi di poesia.

A Pasolini, invece, insegnare piaceva. 

Comincia in Friuli, nel ’44, sotto i bombardamenti: con la madre, trasforma la stanza di casa sua in un’aula. Bastano quattro sedie, un po’ di fantasia, voglia di provare.

A Ciampino diventa professore in una scuola media.

Gioca a calcio coi suoi ragazzi e fa imparare a memoria poesie: Dante, Petrarca e i grandi del Novecento.

Usa la poesia per insegnare: a comunicare. A conoscere oltre l’apparenza.

Ride degli errori senza condannarli, perché anche nelle sgrammaticature della lingua c’è la verità del cuore.

É il Maestro che tutti vorremmo incontrare: uno con lo sguardo mai distratto, uno che sa che l’interesse dei ragazzi è conquistato e perso ogni giorno, uno che tiene acceso il braciere dell’entusiasmo con il tizzone del rigore.

Non crede che i ragazzi abbiano bisogno di letture ingenue come quelle che si trovano nelle antologie: ne hanno già abbastanza, scrive, della loro infanzia.

Vincenzo Cerami, che nel 1976 scrive Un borghese piccolo piccolo, era giudicato un allievo poco dotato prima di incontrare Pasolini, in prima media.

Il maestro scrittore vide nei temi sgrammaticati del piccolo allievo l’arte e non gli errori.

Ce lo ricorda Cerami, quando imparare è bello:

Gli occhi che guardavano la classe non erano gli stessi che guardavano il singolo alunno: i primi erano severi, solenni, quasi doloranti; i secondi sorridevano sempre, come davanti a una cosa bella. Insegnava così.

Ah, se fossimo nati quando eravamo poveri!

Vostra Favella Stanca

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